Paperino e il tesoro dei Vichinghi **** (1949)

Paperino e il tesoro dei Vichinghi **** (Donald Duck in “Luck of the North”, USA 1949, col., 32 p.) Dana Coty (T) e Carl Barks (S e D), Four Color Comics [II serie] #256 [Donald Duck in “Luck of the North”] ([12/]1949 [18/10/1949]). Esasperato dalle vanterie del cugino Gastone, Paperino allestisce una falsa mappa di una miniera di uranio, da rintracciarsi a 70° latitudine nord 167° longitudine ovest. Si tratta di un punto inaccessibile nel bel mezzo del gelido Nord, per il quale Gastone parte seduta stante. Pentitosi dello scherzo, poiché Gastone potrebbe morire tra i ghiacci, Paperino parte coi Nipotini per mettersi alle sue calcagna, e dopo un viaggio in slitta pieno di imprevisti e delusioni (mentre a Gastone va tutto a gonfie vele) si congiungono a lui nel luogo indicato dalla mappa, nel Mare di Bering, occupato da un iceberg. Ovviamente non c’è nessuna miniera di uranio, ma essendosi perso un kayak Gastone parte da solo alla ricerca di soccorsi, mentre Paperino e Nipotini attendono per interminabili giorni sull’iceberg. Nel ghiaccio è incastonata un’antica nave vichinga, il cui oro presente a bordo sarà goduto poco tempo dopo da Gastone, mentre Paperino e Qui Quo Qua – rifiutatisi di salire a bordo della nave con cui Gastone è tornato a recuperarli – solcano le acque sul drakkar (il ghiaccio si era nel frattempo sciolto) e avranno la loro parte di fortuna trovando, nella sua stiva, una mappa che dimostra come i Vichinghi conoscessero l’America molto prima di Cristoforo Colombo. Non una caccia al tesoro (come il titolo italiano potrebbe farla sembrare), è un tassello rinomato di Barks e più in generale delle avventure di Paperino: la fortuna trascende lo statuto integrante manifestato altrove (Paperino e l’isola misteriosa, 1949) per apparire quale controverso timone e pilota delle vicende (la stella del Nord coinciderebbe con la sbandierata «stella» che guida Gastone?), ma i personaggi non sono piegati ad essa (non schiacciati dolorosamente, né figure emozionalmente inerti), bensì marcano una tridimensionalità psicologica irrintracciabile nel complesso dei comic books americani dell’epoca, ancor più entro il brand dei funny animals. Barks ridimensiona il ricorso al dettaglio fantasioso, tipico di Paperino e il mistero degli Incas (1949), per evidenziare lo spirito di sacrificio e la maturazione di Paperino a uno stadio che offusca l’invidia e l’egoismo, fino ad abbracciare un compiuto orgoglio: gli scenari sono per lungo tempo brulli e le situazioni limitanti, lo spettacolo selvaggio è fonte di un’inquietudine che si trasforma in apprensione e terrore sensibilmente realistici (il ghiacciaio che si frantuma). Immaginifica è comunque la sottotrama con la consecutiva sosta presso l’insediamento eschimese, in cui Gastone, per provare l’efficacia del suo ferro portafortuna, lo agita incerto verso il mare, cosicché una balena si catapulta immediatamente dall’acqua (!) in mezzo agli affamati eschimesi. (Ovviamente una volta ceduto agli eschimesi il ferro non ha più alcun potere, e gli indigeni si rivarranno spremendo il portafogli di Paperino e Qui Quo Qua come analogamente accaduto in Paperino e l’isola misteriosa). Celebre, e ampiamente disaminata, la formidabile sequenza a pagina 8, in cui Paperino – a notte tarda nella sua cucina – non riesce a non pensare alle possibili conseguenze del suo trucco: non solo la scena non ha alcun bisogno di dialoghi, ma anche il disegno è ridotto al minimo, conta solo la faccia di Paperino, che a uno sguardo superficiale può sembrare imbambolata ma è espressiva del suo stato interiore e attraversata da significative variazioni (quasi in contravvenzione all’avvertimento impersonale che Barks stesso darà a breve agli altri disegnatori disneyani, cioè di non indulger troppo nelle oscillazioni oculari dei Paperi). Il picco di questo passaggio è un orso bianco che – come immaginato da Paperino – ha appena finito di pasteggiare coi resti di Gastone (i suoi caratteristici cappello e ghette giacciono in terra), e questo irreale spiraglio polare schiaccia letteralmente Paperino – irrimediabilmente roso – sul fondo della vignetta. È narrativamente un momento di stasi prima della concitazione, tipico di un autore che qui se ne serve per avviare il genuino, palpabile e inedito meccanismo della colpa che regge l’intera storia. Avvincente la tempesta che attanaglia il drakkar coi Paperi, con la memorabile comparsa di un’«onda dalla cresta bianca» che, una volta abbattutasi sulla nave, rivela di aver trasportato in realtà un aggressivo orso polare. La dinamica tra Paperino e Gastone si fa più complessa, profonda e incisiva, già a partire dall’incipit e dai suoi emblematici scambi di battute che inesorabilmente preludono all’infernale iter attraverso i continui premi in denaro vinti senza fatica da Gastone (Gastone: «Ma guarda! Il cugino Paperino! Non ci vediamo da un secolo!» – Paperino: «Già! Perché finora ho avuto la fortuna di vederti io per primo, cugino Gastone!» – Gastone: «E la chiami fortuna? Dovresti piuttosto ricercare la mia compagnia! Potrei aiutarti a diventare qualcuno!» – Paperino: «Potresti aiutarmi giusto a finire al dormitorio pubblico, truffatore! Addio, e spiacente di averti rivisto!»). Il finale indimenticabile, con i Nipotini che trovano la mappa rivelatrice e danzano sulla tolda del drakkar mentre gli schietti e categorici marinai di una nave di passaggio li reputano impazziti (non una semplice ricompensa, ma un «livellamento delle fortune» in cui i Paperi realizzano che «la vera fortuna non è individuale» [Matthias Wivel]), è una componente archeologica che sarà motore di tutta una storia barksiana sul tema dei norreni precursori di Colombo: Paperino e il cimiero vichingo (1952), che precede anch’essa l’incursione sulla scena accademica (1957) della famigerata mappa di Vinland. La copertina dell’albo d’esordio, opera sempre di Barks, servirà al Maestro come base per un dipinto a olio. Barks compra l’idea di Paperino e il tesoro dei Vichinghi da Dana Coty, redattore per la rivista satirica Judge (per la quale Barks realizzò almeno un disegno nel 1930) che fornì idee e testi anche agli studi Disney e Warner Bros.: Coty aveva proposto un soggetto su Gastone che va nel Nord in seguito a un inganno di Paperino, Barks lo ampliò notevolmente. In alcune ristampe in lingua inglese, l’affermazione accalorata di essere stati «gypped» (= “buggerati”, e coinvolge un po’ tutti, eschimesi inclusi) è resa col participio «hosed» (che fa da sinonimo): questo perché la parola è inevitabile parente di «gypsy» (= “zingaro”).

Fonti:

Link Inducks: W OS 256-02

Donald Ault (ed.), Carl Barks: Conversations, University Press of Mississippi, Jackson 2003, pp. 9-10.

Michael Barrier, Funnybooks: The Improbable Glories of the Best American Comic Books, University of California Press, Oakland (CA), 2015, pp. 175-178.

Carl Barks, Donald Duck – “Trail of the Unicorn”, «The Complete Carl Barks Disney Library» #8, Fantagraphics Books, Seattle (WA), 2 maggio 2014, pp. 200-201.

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