Disney Comic Guide – I perché del progetto

Topolino e il mistero dell’Uomo Nuvola (Island in the Sky, 1936/37) di Ted Osborne e Floyd Gottfredson.

Una ricca eredità

Sono trascorsi ben 90 anni dalla produzione del primo fumetto a targa Disney: questa è stata una motivazione cardine nello spingerci all’ideazione di tale guida al fumetto Disney che, almeno come pura intenzione, si prefigge un obiettivo indubbiamente monumentale. Il patrimonio di storie a fumetti disneyane è sterminato e coinvolge varie nazioni del mondo, riteniamo dunque sia giunto il momento adeguato per mettere ordine e tirare le somme su cosa ci abbia effettivamente donato il magnum opus disneyano in termini artistici. È infatti tempo di riconoscere definitivamente la dignità della sua produzione a fumetti come la possiede qualunque altra produzione atta all’intrattenimento, alla meraviglia o alla comunicazione indiretta. Al suo interno, proprio come nel Cinema, nella Letteratura e in altre produzioni a fumetti (che siano seriali o d’autore), spiccano i prodotti di spessore e non lasciano il segno quelli dozzinali: il lettore appassionato ma magari non abbastanza esperto, e il neofita desideroso di conoscere i capolavori del Fumetto Disney (anche solo nominalmente) meritano entrambi che gli siano sinteticamente segnalati gli uni (i summenzionati prodotti di spessore) e gli altri (quelli dozzinali), in modo da destreggiarsi in questo settore con più sicurezza. Il mondo Disney è lungi dall’essere una piana uniforme, se così fosse non vi sarebbero emersi – a sovrastare gli altri – nomi illustri quali Carl Barks, Floyd Gottfredson, Romano Scarpa, Guido Martina, Rodolfo Cimino, Carlo Chendi. Per il lettore appassionato e già esperto, questo progetto può essere occasione per rispolverare nella memoria un tassello Disney da guardare in una nuova ottica e possibilmente da rivalutare.

L’Inferno di Topolino (1949/50) di Guido Martina e Angelo Bioletto.

Un’appassionante emancipazione

Ormai la fase stringatamente simbolica il fumetto Disney l’ha passata, se ma l’avesse avuta. Diamo per buono che Topolino richiami la lestezza, la destrezza, il forte senso di sopravvivenza e la spiccata capacità di adattamento di un roditore; mentre Paperino, essendo un papero, avrebbe poche altre aspirazioni oltre allo scivolare placido sulle acque di uno stagno. Il personaggio di una favola è da sempre riflesso di un qualcosa del nostro mondo che sia conoscibile nei suoi limiti perfetti, magari allude, e lo spettatore o il lettore o l’ascoltatore è chiamato a interpretare e a fare i collegamenti dovuti. Topolino e Paperino, a ben pensarci, si sono evoluti abbastanza presto. Il secondo, a differenza del primo, poteva almeno rivendicare una sua più diretta discendenza da un vago serraglio favolistico, russo prima ancora che americano, che come sempre fungeva da impietosa (in caso, anche politicamente coscienziosa) satira del consorzio umano. Ben presto la magia di Topolino e Paperino va al di là della sua funzione: il pubblico ride, è toccato emotivamente dalla perizia tecnica senza precedenti che permette a questi animali in statura bipede di mimare il comportamento umano, sia dal livello superficiale della loro costituzione fisica (in parte umana, ma in parte solo umanizzante), sia – e questo è eccezionale per il cinema d’animazione – da un livello segnatamente più profondo. Noi avvertiamo le emozioni che li animano, arroghiamo perfino l’opportunità di risalirle eziologicamente, cioè ci interroghiamo sul loro perché. Come fossero personaggi letterari.

Zio Paperone e la Stella del Polo (Uncle Scrooge in “Back to the Klondike”, 1953) di Carl Barks.

Questo spiana la strada per un altro passo significativo nella strada del loro modellamento: Paperino, certo, è il pigro e iracondo della situazione mentre Topolino ne è il proposito e la speranza (in questo schema il format in cui agiscono è coerente con il genere favola, sempre capace di riproporre i suoi simboli aggiornandosi ai tempi, Topolino infatti è il giovane americano che non ha voluto arrendersi alla stretta della Grande Depressione), ma non sono più figure ritagliate e inscritte nel tessuto della fabula per dare una lezione. Anzi, i loro contorni sfuggono all’asse tradizionale di mutua intesa autore/pubblico, e sfumano: Mickey e Donald si fanno portatori di rimescolii segnatamente personali, autoriali, e questo contribuisce a iniettargli una linfa dal novello sapore. Diventano personaggi d’autore. In quel capolavoro che è The Band Concert (1935), non solo il migliore short animato della fucina Disney ma forse il migliore tout court degli anni ’30 (insieme al quasi coetaneo Popeye the Sailor Meets Sindbad the Sailor dei Fleischer), Topolino e Paperino sono entrambi manifestazioni conflittuali dell’animo di Walt Disney, scisso fra le ruspanti origini campagnole e la nervosa esigenza di mantenere un nobile contegno guadagnato grazie al sudore della fronte. Più che simbolici, Mickey e Donald si rendono ora veicoli di una duttile metafora: è necessario specificare chi rappresenta l’una e chi l’altra? Topolino e Paperino si fanno umani? Forse no, anche perché cos’è umano? Ma è certo che si rendono disponibili al racconto di storie, e Floyd Gottfredson aveva fatto i suoi dovuti calcoli ben prima della nascita di Paperino, dato che si era premurato a rispettare il personaggio Mickey Mouse ancor più di quanto su carta avesse provato a fare il suo stesso autore. Topolino e Paperino sono funny animals ma negli anni ’30 assumono la stessa riconosciuta caratura dei personaggi tassonomicamente umani delle coeve strisce a fumetti, in molti casi le loro avventure le superano addirittura in valore poiché le storie Disney hanno dietro una solida attività di storytelling (questo non è stato marginale per la loro sorprendente imposizione nell’immaginario). L’emancipazione può dirsi definitiva: Topolino e Paperino (e tutto il loro contorno di spalle) intendono guardarsi dal suscitare ancora lo stupore e la confusione del mondo alla rovescia. Quest’ultimo era ancora un motivo trainante del corto animato The Three Little Pigs (1933): lo sbalordimento di trovarsi davanti a un microcosmo in cui tre maialetti agiscono come fossero esseri umani era sintomaticamente ravvivato da ingredienti essenziali a quella classica iconografia ribaltante: nello specifico, un quadretto ordinario con la scritta «Papà»… ma nella foto vi è una fila di salsicce. Quello su schermo sta quindi imitando il nostro mondo: ne ridiamo, ma siamo lì lì per avvertirne la presunzione. Noi non ci stupiamo più di vedere i personaggi Disney in veste di umani. Certo, continuiamo a sorprenderci di come questo o quell’artista sia riuscito a rendere particolarmente verosimile una data espressione facciale, ma è come valutare l’espressività di un attore o la direzione attoriale in un film. Che stiano interpretando esseri umani lo diamo per scontato, così come i loro autori. Ma mentre i Tre Porcellini, seguendo strettamente lo stilema della favola, imitavano il nostro mondo senza averne i numeri (e da qui nasceva il contrasto comico), Topolino e Paperino si avvalgono di una propria combinazione di numeri, e la cavezza appesa al collo di Orazio è ormai rimasta un gustoso – e rispettoso delle sue origini, va detto – retaggio.

Metodologia

Il fumetto Disney si fa, mano a mano, ancor più che un serial: diventa un genere. Al suo interno è frastagliato e vi si cimentano autori e artisti tra loro diversissimi. Il piatto è ricco. Esaminare un episodio puramente farsesco di Guido Martina necessita di strumenti diversi da quelli adatti per un episodio ironico di Barks (e simili esempi), non si possono quindi porre sullo stesso piano e giudicare migliore a priori la storia del secondo soltanto perché i suoi personaggi sarebbero più «umani». No: le valutazioni critiche, in ogni campo, hanno sempre avuto criteri più complessi, magari talvolta persino sfuggenti. Bisogna tener conto, anche, di quanto una storia possa risultare significativa al di fuori del proprio medium, tanto dunque da coinvolgere in un dibattito molto più ampio della semplice diatriba se l’autore in questione abbia rispettato la psicologia originaria dei personaggi o meno (un tipo di discussione che di fronte ai neofiti paleserebbe fin troppo spesso la sua sterilità). Oltre a un breve commento che fa il punto sulle storie, accompagniamo le schede relative con un punteggio in asterischi atto ad inquadrare immediatamente – secondo noi – il ruolo della storia nell’ambito del fumetto Disney e, ancor più in generale, del Fumetto. Come avessimo per modello un quadrilatero che unisca i punti cardinali, gli asterischi vanno da 1 (*) a 4 (****) compresi i mezzi voti: preferiamo evitare il ricorso a una dispersiva scala da 1 a 10, ai nostri occhi sarebbe fuorviante utilizzare perfino una scala da 1 a 5 poiché inviterebbe ancora ad un malizioso margine per una collocazione soggettiva. La nostra scelta è dunque quella di essere il più stringenti possibile nella valutazione, anche se ciò diventa senza dubbio un compito difficoltoso per noi, e di grande responsabilità nei confronti del pubblico. Valutare un fumetto Disney in termini i più oggettivi possibile, come giudica i film una guida cinematografica, sembra facile solo a prima vista. Nel farlo, bisogna premettere che va giudicato in quanto fumetto comico e spesso umoristico-avventuroso, e tener conto che si tratta di un prodotto seriale, ancorché atipico poiché i personaggi possono essere protagonisti di fatti che saranno poi contraddetti in una storia successiva. Le loro caratteristiche comportamentali, poi, variano sensibilmente di autore in autore. Si tratta di un prodotto seriale, dicevamo, perché i personaggi sono sempre gli stessi, come fossero figure archetipiche bisogna conoscerli bene e aspettarsi da loro determinati comportamenti, molti assunti di base delle storie sono impliciti e vanno tenuti presente dal lettore quando costui viene immesso quasi sempre istantaneamente nell’intreccio. Agendo così, si entra nel mood corretto per capire appieno lo spirito di una storia Disney, cogliere le sfumature del suo humour e gustare le piccole o grandi variazioni su un certo tema. Si viene immessi nella narrazione istantaneamente, abbiamo specificato, e questo ci porta a un altro appunto sulla difficoltà che comporta la valutazione dei fumetti Disney: nella sua lunga avventura, non sono stati tutti gli autori Disney a comprendere subito il potenziale delle storie con Paperi e Topi, quindi non tutti hanno confezionato dei prodotti curati sin dalla prima vignetta fino all’ultima, e non hanno considerato che ciò che avevano sottomano potesse divenire un’opera d’arte. Ecco quindi che ci troviamo ad analizzare indiscutibili Maestri, consapevoli narratori come Carl Barks e Romano Scarpa, insieme ad autori che hanno preso questo lavoro un po’ o molto più alla leggera. Magari – come succede spesso – erano dignitosi mestieranti del fumetto popolare, e a volte si trovarono ad approntare a sorpresa dei capolavori che non hanno niente da invidiare a quelli scritti dagli autori “maggiori”, se non la perfezione tecnica. Ma anche il cinema, come sappiamo, non è fatto solo di tecnica.

La scala delle valutazioni è la seguente:

* = pessima (da evitare senza rimorsi)

*½ = mediocre (solo per chi non teme di impiegarci parte preziosa del proprio tempo)

** = sufficiente (non consente di sbilanciarsi a favore o a detrimento)

**½ = buona (che sorprende positivamente)

*** = ottima (la sua lettura dà un senso di pienezza)

***½ e **** = i capolavori, ovvero le storie eccellenti o addirittura perfette. Se vogliamo fare una distinzione tra la prima e la seconda valutazione, diciamo che la prima riguarda quelle storie che sono più che belle ma a cui preferiresti le seconde se dovessi trovarti – per esempio – obbligato a incidere su marmo solo una limitata quantità di titoli. Poche storie al posto del punteggio hanno un punto interrogativo (?): succede quando la storia è stata drasticamente alterata nel montaggio o nei dialoghi per la sua prima pubblicazione (avviene quasi sempre in sede redazionale, meno spesso ad operare i tagli sulla sceneggiatura è il suo disegnatore), e ciò rende dunque impossibile una sua valutazione in termini assoluti in base a come l’aveva ideata il suo autore.

Per comodità, una lista dei capolavori imprescindibili la trovate anche a parte, qui (è in continua metamorfosi): ****Capolavori Disney “a 4 stelle”****.

L’ordine alfabetico segue pedissequamente la successione delle lettere presente nel titolo, a prescindere dalla presenza degli apostrofi: Topolino e la riserva indiana precede Topolino e l’armata elettronica. I numeri sono qui trattati come se fossero scritti in lettere.

Va anche riportata la legenda delle nostre abbreviazioni. Ogni nostra scheda fornisce: titolo italiano della storia (quando la storia è stata pubblicata nel nostro Paese), titolo originale (o completo) se la storia è di fattura estera (le storie a strisce nascevano generalmente senza titolo [s. t.], quindi a seguire è quasi sempre il titolo convenzionale più comune fra i catalogatori), luogo e anno di produzione, gamma cromatica (bianco/nero o colore), numero totale di pagine o di strisce che la compongono (non includiamo gli episodi costituiti da meno di 2 pagine o strisce), i suoi autori. La S tra parentesi dopo un nome indica che costui ne è lo sceneggiatore, la D che ne è il disegnatore. Talvolta il soggetto di una storia è stato pensato da una terza persona, in questi casi accompagniamo il nome con una T (sta per trama). Dopo i realizzatori della storia, nelle informazioni seguono le coordinate della sua prima pubblicazione.

Nell’Indice delle schede, tra parentesi quadre (che seguono il titolo della storia) vi sono generalmente due nomi separati da una barra obliqua (es. [Martina/Scarpa]): il primo nome indica lo sceneggiatore e il secondo il disegnatore (non includiamo gli inchiostratori, qualora non coincidano col matitista: specificheremo l’apporto di altri alle chine solo all’interno della scheda). Situazioni come [Sarda/Scarpa-Del Conte] o [Martina-Scarpa/Scarpa] indicano una collaborazione fra più persone nell’ambito di quel determinato ruolo (due sceneggiatori, due disegnatori). Quando due sbarre servono a separare tre nomi (es. [Coty/Barks/Barks] o [Baricco/Faraci/Cavazzano]), il primo nome appartiene al soggettista e il secondo allo sceneggiatore. Nei casi in cui una storia è frutto di un autore completo, e nessun altro ha partecipato alla sua stesura, tra parentesi è sufficiente un nome soltanto (es. [Scarpa] o [Barks]).

Degli autori è sufficiente riportare il cognome. Nei casi di omonimia, l’iniziale del nome serve a fugare i dubbi: esistono più disegnatori disneyani con cognome Moore o Wright, quindi B. Moore è Bob Moore e R. Moore è Richard Moore, così come B. Wright distingue Bill da Kay. Quando un cognome è comune a due individui che sono l’uno sceneggiatore e l’altro disegnatore (condizione rara nell’ambito del fumetto Disney) non è necessario il dettaglio: [Walsh/Gottfredson] informa che la storia è stata scritta da Bill Walsh, mentre [Christensen/Walsh] comunica chiaramente che la storia è stata disegnata da Stan Walsh.

Paperino e le lenticchie di Babilonia (1960) di Romano Scarpa.

Un medium dibattuto

Abbiamo accennato all’inequivocabile impalcatura rigida dei fumetti Disney, che inevitabilmente impone il veto a tutta una serie di argomenti e sviluppi, che i fumetti Disney appunto non possono trattare. Come fa dunque il fumetto Disney a potersi avvalere di un patentino artistico, molti si son chiesti, se sembra esser concepito in nuce come un prodotto buonista, totalmente innocuo e destinato a un target non superiore a quello infantile? “Leggi Topolino fino ai 12 anni, dopo va accantonato perché l’età dello sviluppo richiede il passaggio a testi più complessi e formativi dell’individuo“, più o meno con queste parole, appartiene a una didattica parziale di cui è stata intrisa la nostra istruzione per molti anni. Come se il fumetto Disney dovesse quindi costituire una lezione di tipo scolastico. In realtà gli scrittori Disney – almeno i più bravi – proprio da questi metaforici paletti hanno tratto gli spunti per l’ideazione di prodotti meditati, all’occorrenza riflessivi, e sicuramente alieni ai sensazionalismi concessi a chi è libero da ogni vincolo. A parte la triste strada che ha imboccato in Italia la dirigenza di Topolino dagli anni ’80 in poi, improntata a un politicamente corretto che costringe gli autori a una ferrea autocensura (pena una censura dai “piani alti” a storia conclusa), l’ecosistema a sé stante dei personaggi Disney deve rendere conto tutto sommato di un numero minore di cose, si è per esempio potuto concedere, sotto la patina di mera parodia, la libertà satirica di destrutturare in modo intelligente il mito di dèi ed eroi in Zio Paperone e il Valhalla cosmico (Carl Barks, 1961), in un periodo in cui poteva essere commercialmente rischioso deludere le aspettative di un pubblico che invece – come dimostravano altri fronti, pur fumettistici ma anche cinematografici – sembrava avere ancora bisogno di eroi più convenzionali. La bravura dei maggiori interpreti del fumetto Disney (e del fumetto comico in generale) sta nel riuscire a creare storie che siano fruibili a più livelli (bambino, giovane, adulto), è una capacità che appunto non è di tutti i suoi autori. Speriamo che la presentazione in carrellata di tutte queste storie spinga a una sempre maggior attenzione da parte della critica e quindi a un fiorire di più studi critici, sia sulle storie che sui loro autori. Non è arduo trovare una giustificazione alla nostra operazione perfino spostandoci in una direzione psicanalitica: si è molto discusso su come ciò che abbiamo vissuto durante la nostra infanzia funga da archetipo per la nostra psiche. Una volta, la funzione di orientare i nostri comportamenti futuri, l’avevano le fiabe e le favole (il loro influsso, probabilmente, non è comunque mai venuto meno fino ad oggi), ora non è incongruo affermare che il fumetto – soprattutto quello Disney – abbia avuto un ruolo analogo specialmente da quando il giornale quotidiano smette di essere il mezzo preferito con cui instaurare il suo rapporto coi lettori e il fumetto accestisce quindi sull’agile e compatto albo da edicola, destinato a un pubblico che inizia a usufruirne in un’età tendenzialmente più tenera. Scorrere i vecchi spillati e brossurati Disney, dunque, non è solo la certosina documentazione di un lascito, ma anche un modo – azzardiamo – di riscoprire alcune basi del pensiero di una cospicua fetta di popolazione. Ingrandendo con la lente l’Italia, giusto per aggiungere una considerazione, gli autori che sotto la Mondadori si sono prestati a gestire i personaggi disneyani hanno inoltre contribuito a girare ai lettori tematiche affrontate in altre sedi: lo hanno fatto direttamente (certe storie adattano romanzi contenuti nella celebre serie Urania), o indirettamente (le misurate e complesse storie di Cimino ricordano – in campo fantascientifico – la fratellanza universale di Simak, o il plauso degli ultimi di Sturgeon o del nostrano Miglieruolo, ma non è sicuro che Cimino li abbia mai letti). C’è chi, anche una volta uscito dall’adolescenza, ha letto poco altro rispetto al fumetto Disney, ma qualcuno ha detto che non è importante ciò che si legge ma come lo si legge, e il fumetto Disney – come abbiamo accennato – ha indubbiamente fatto la sua onorevole parte nel donare qualcosa di consistente e duraturo ai suoi lettori (non vogliamo usare il verbo insegnare, che suona pomposo e riduttivo). Il fumetto Disney attinge – nel suo modo peculiare e, va ripetuto, grazie ai suoi autori migliori – a ciò che anima l’agire umano, e a quella realtà consente di risalire per mezzo delle analisi che facciamo di queste storie ai nostri giorni.

Zio Paperone e il sosia elettronico (1967) di Rodolfo Cimino e Romano Scarpa.

Avvertenze

Chiudiamo questa introduzione con tre avvertimenti. Il primo è che le varie schede non intendono essere dei trattati sulle singole storie: se qualche scheda un po’ più lunga del solito vi somiglia, ciò è avvenuto incidentalmente. Piuttosto, scopo del redattore è comunicare le caratteristiche essenziali della storia di modo da trasmetterne il valore all’interno del suo contesto e nel mondo del fumetto. Poi: assicuriamo di aver voluto abbandonare, nella nostra operazione, ogni tipo di pregiudizi, i quali invece continuano ad affliggere molti spazi più o meno amatoriali dedicati ai fumetti Disney (e, almeno in passato, anche molte riviste): sarà il valore delle storie a dare, obiettivamente (per quanto si possa discutere circa questo avverbio), l’idea della grandezza di un determinato autore, e non avverrà viceversa. È un modo intelligente di evitare discussioni vane per stabilire quale sia l’autore Disney migliore in assoluto, dispute che contaminano molti ambienti di critica fumettistica sminuendo l’importanza di un processo critico accurato ed equo. Non meno limitanti sono i fandom dediti soprattutto a sperticate lodi e – ancor peggio – ad un’irregimentazione della produzione Disney. Inoltre, non intendiamo sminuire a prescindere le caratteristiche assegnate da un autore a un personaggio soltanto perché queste non rispettano i canoni di continuity stabiliti dagli autori precedenti (soprattutto quelli fondanti, Floyd Gottfredson per il mondo di Topolino e Carl Barks per quello di Paperino). È infatti palese che una continuity univoca non esiste e non è mai esistita, infatti qualunque autore – anche il più filologicamente corretto – inevitabilmente vede i personaggi alla propria personale maniera. Per fortuna e per il bene del processo creativo, aggiungiamo convinti. Il nostro terzo avvertimento verte sulle tempistiche e l’auspicata ampiezza di questo spazio. Il numero di storie Disney è enorme e aumenta di settimana in settimana, inoltre le storie di scarso valore sono troppe, la maggior parte delle volte realizzate all’insegna di un dichiarato e sconfortante buonismo (un’odiosa prescrizione cui sono obbligati gli autori Disney di ogni nazione e che ha intaccato la spontaneità di questo significativo ramo del fumetto). La maggior parte delle storie non è dunque granché meritevole del tempo da impiegarsi in una loro recensione: qui prevediamo di dedicarci alla produzione Disney storica, ovvero quella almeno fino ai ’90 (gli anni che secondo la storiografia videro Topolino toccare la famigerata cifra di 1 milione di copie vendute a settimana), concedendoci una forse colpevole preferenza per le storie scritte e disegnate nello Stivale (la produzione italiana è ancora troppo poco conosciuta all’estero nonostante sia, per qualità, la migliore degli ultimi 50 anni su scala mondiale). Non siamo infallibili, saremo sicuramente soggetti a cambiamenti di idea (si spera non radicali, o perderemmo credibilità) nei confronti di determinate storie, quindi il nostro sarà sempre un progetto in perenne mutamento e non è escluso che potremo aver bisogno di nuovi volontari per commentare, secondo le medesime linee-guida, la sempre più cospicua messe di storie.

Paperinik il diabolico vendicatore (1969) di Guido Martina e Giovan Battista Carpi.

Approfondimenti

Forniamo qui dei link per chiunque volesse approfondire l’ambito del fumetto Disney. Il primo rimanda al database mondiale dei fumetti Disney, l’imponente progetto I.N.D.U.C.K.S.; il secondo al sito (italiano) del Papersera il quale, oltre a contenere interviste agli autori e ad indire prestigiosi premi per i medesimi, vede un cospicuo numero di lettori antichi e moderni impegnati in commenti ampi e stimabili; il terzo collega a un sito che non di rado si occupa di fare il punto su storie, personaggi e autori dell’universo Disney, con uno spettro di argomenti che spesso supera la trattazione soltanto specialistica; il quarto non ha forse bisogno di presentazioni, lo includiamo più o meno per gli stessi motivi che riguardano il terzo; la PaperPedia è un progetto enciclopedico che si occupa di analisi delle storie e di creare utili voci sui personaggi e gli elementi cardini del mondo Disney, soprattutto nei fumetti. Un link Inducks specifico sarà accluso ad ogni scheda. Questo si accompagnerà ad altri link interessanti qualora il caso lo richieda, ma anche a bibliografie. Questi ultimi dati li includiamo sotto la voce Fonti, ma non vogliamo sempre dire che vi abbiamo attinto per redigere la nostra scheda. Certo, molte volte capita che ne prendiamo uno spunto, a volte una vera e propria citazione (in questo caso le virgolette la delimitano nel pieno del testo) o addirittura condividiamo la sua visione d’insieme, spesso imparando da questa; ma talvolta la menzione di un articolo in bibliografia è solo il nostro modo per rimandare il lettore a un approfondimento sulla storia in questione (Approfondimento è una parola lunga, le preferiamo quindi Fonti). In qualche frangente, l’invito rivolto al lettore è alla lettura di un commento sensibilmente alternativo della storia o di un suo singolo aspetto.

Inducks: https://inducks.org/

Papersera: http://www.papersera.net/

Lo Spazio Bianco: lospaziobianco.it

Fumettologica: https://www.fumettologica.it/

PaperPedia: https://paperpedia.fandom.com/it/wiki/PaperPedia

Le copertine di alcune letture indispensabili per conoscere e capire il fumetto Disney: la sua storia, il suo approdo in Italia e le sue caratteristiche intrinseche. Edite tutt’e tre da NPE (Nicola Pesce Editore), sono: I Disney Italiani (2012), Le Grandi Parodie Disney (2016) ed Eccetto Topolino – Lo scontro culturale tra Fascismo e Fumetti (2011).

Un ulteriore volume, di Alberto Becattini, è edito nel 2019 in italiano per i tipi dell’Anafi. Si tratta di Disney a fumetti. Storie, autori e personaggi 1930-2018:

Le immagini di questo sito sono in prevalenza © Disney.

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