Topolino e i pirati **** (1932)

Topolino e i pirati **** (s. t., poi Mickey Mouse Sails for Treasure Island, USA 1932, b/n, 155 strisce) Floyd Gottfredson (S e D), strisce giornaliere 16/5-11/11/1932. La vedova del capitano Churchmouse [variamente Radimare, Toporagno e Mastrorocco nelle edizioni italiane] affida a Topolino le mappe per un tesoro sito in un’isola del Mar dei Caraibi. Messa in mare la nave del Capitano (scomparso in mare 15 anni prima), Topolino ripone completa fiducia in due marinai che gli hanno racimolato l’intero equipaggio. Da allora in poi le sorprese non mancheranno: Minni è salita a bordo di nascosto, la nave Chiaro di luna da anni si dice infestata e ora il suo fantasma si rende palpabile (in realtà è un gorilla), i due marinai sono in realtà Pietro Gambadilegno e Lupo (evasi di prigione), Topolino e il gorilla «Spettro» sono abbandonati in mare dall’equipaggio e approdano su un’isola in cui una comunità di cannibali teme un folle “dio” bianco che asserisce di essere William Shakespeare. Lo scontro decisivo avverrà sull’isola del tesoro. Gottfredson sperimenta – ottenendola – una narrazione solida, avvincente, piena di colpi di scena che permette a Topolino di assurgere senza ombra di dubbio al ruolo di eroe popolare degli anni ’30 insieme a vari altri illustri esempi nel mondo del fumetto e del cinema. Il registro drammatico – che ben si amalgama con quello più ironico e avventuroso – mette a dura prova tutti i personaggi permettendo il dispiegarsi di una molteplicità di sensazioni, sebbene il plot non sia complesso quanto vari altri nel futuro della striscia. Topolino, come nei corti animati, parte quasi alla ventura senza saper nulla di navigazione e la sua ottimistica fiducia verso il prossimo sortisce risultati per lui inaspettati (ma preannunciati dal sesto senso di Minni). E rimescola a suo modo gli stereotipi trovando preziosi alleati in: un gorilla selvaggio, un folle (chiamato Shakespeare in corrispondenza della pazzia di Amleto, il quale interpretava peculiarmente la realtà), una tribù di indigeni cannibali. A suo modo, un simpatico ribaltamento del timore di sotterranee pulsioni selvagge sublimato l’anno dopo dal celebre King Kong. Inoltre, nei suoi quasi ultraterreni ottimismo e bontà d’animo, Topolino nella conclusione finisce addirittura per porsi contro le leggi vigenti: libera Pietro e Lupo sull’isola, invece avrebbero dovuto esser riportati in patria per subire l’impiccagione (riaffermazione di un superiore ideale democratico?). La prima parte della storia consta di un ammutinamento preceduto dalle manifestazioni tetre ed enigmatiche del gorilla Spettro, nelle modalità sibilline del viaggio in nave di Dracula o degli orrori marini di William Hope Hodgson (ma qui l’arto del gorilla agguanta squali, invece che esseri umani), una strada in quegli anni intrapresa anche da Elzie Crisler Segar nella sua striscia Popeye (La Cozza Negra, 1929/30; L’Ottavo Mare, 1932); la parte centrale focalizza l’appassionante tempesta che gioca in contemporanea con la vita dei naviganti (Pietro, Lupo, Minni, l’equipaggio della Chiaro di luna) e con quella di Topolino e Spettro naufraghi su una barchetta in balia dei marosi, in seguito Topolino trova i resti della Chiaro di luna e dà per morta Minni (in una sequenza di grande efficacia, naturale, breve e non a tinte troppo forti); la terza parte, una stevensoniana Isola del tesoro dal singolare Ben Gunn-Shakespeare, cala Topolino nella grottesca antinomia/sinergia tra lui, il folle Shakespeare e i cannibali dal pensiero a dir poco laterale. Pietro e Lupo che si contendono aggressivamente il possesso di Minni (con Gambadilegno che arriva quasi al matrimonio con lei, celebrato da Lupo che formalmente è il suo capitano) è esilarante. Il finale, con la moglie di Churchmouse in fin di vita nel suo letto, è un’ultima scintilla drammatica dell’intreccio e significativamente spinge il Capitano (che ha recuperato la sua sanità mentale) a riflettere sull’inutilità del tesoro davanti al lutto coniugale che gli si profila, adombrando il rapporto conflittuale che la società aveva con la ricchezza all’indomani del tracollo economico nazionale. Catturati infine dai cannibali dell’isola, Pietro e Lupo non possono però esser da loro mangiati perché talmente malvagi da poter risultare velenosi, e ucciderli coi metodi ordinari sarebbe – secondo la loro legge – troppo clemente: sono quindi abbandonati nella giungla al loro destino. Nella striscia di Topolino faranno presto ritorno entrambi, così come (più di una volta) il capitano Churchmouse. Spettro riapparirà anni dopo in un’altra storia di Gottfredson, la quale riprende parecchi spunti narrativi dalla presente. Il ripasso a china è di Al Taliaferro. Ne esiste anche una versione italiana ricalcata e incompleta. Topolino e il tesoro è il titolo italiano della sua versione americana in testo accompagnata da illustrazioni ricavate dalle strisce. Seguita da Topolino e Orazio nel castello incantato.

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