Topolino e il satellite artificiale ** (1952)

Topolino e il satellite artificiale ** (Italia 1952, b/n e col., 40 p.) Antonio Rubino (S) e Giuseppe Perego (D), Topolino #41-43 (25/4-25/5/1952). Topolino maneggia da vero esperto, nel suo laboratorio, l’ossigeno. Appreso dal giornale «Phisical News» [sic!] che il prof. Pit Pat sta per lanciare dalle Maldive il primo satellite artificiale, intende ricordargli l’importanza di un controllo umano dell’apparecchio dalla Terra, così parte in volo col suo assistente Pippo per l’atollo n. 13. I grandi robot alati del prof. Pit Pat sequestrano i due amici, che nel modo di fuggire azionano il satellite «Satart» e partono involontariamente per gli spazi siderali. Inizia così per loro un viaggio bizzarro, intriso di pericoli e di sorprese, in cui trovano anche 56 secondi di tempo per calpestare il suolo della Luna, mentre dalla Terra Minni, Orazio, Clarabella, Paperino e il resto del mondo li seguono febbrilmente attraverso lo schermo e il prof. Pit Pat sottostà alle polemiche sull’opportunità di mettere a repentaglio le vite umane in virtù delle («effimere») vittorie della scienza. Esce cinque anni prima del lancio dello Sputnik 1, ma la letteratura sui satelliti artificiali contava già 80 anni, infatti le premesse (l’apparecchio doveva partire da solo, ma per caso si porta dentro degli esseri umani) coincidono con quelle del capostipite del filone: La luna di mattoni (The Brick Moon, 1869), di Edward Everett Hale. Il dattiloscritto di questa storia (ma non coi personaggi disneyani: il ruolo di Topolino è coperto da tal Dino Din, quello di Pippo da Leo Babba) è stato trovato fra quelli tardi del maestro dell’illustrazione italiana Antonio Rubino, ne consegue che Rubino avrebbe tentato, anni dopo il 1952, di riciclare questo suo plot disneyano per un libro illustrato (per errore, nel testo riemerge almeno una volta «Topolino» al posto del nome di Dino Din). La ricostruzione della genesi di questa storia non è esente da ulteriori interrogativi. Nell’archivio di Franco Fossati la paternità della sceneggiatura è ignota, questo farebbe ritenere (analogamente a quanto è desumibile dai frammentari dati sulla coeva Topolino nella Valle dell’Incanto) che nel 1952 la sceneggiatura di Topolino e il satellite artificiale fosse in realtà già pronta da qualche tempo (Mario Gentilini, nel passaggio del libretto Topolino da mensile a quindicinale, avrebbe quindi sfruttato due storie già esistenti lasciando a Guido Martina il tempo di organizzarsi per ridare il via alla produzione italiana di episodi), e il fatto che Topolino compaia nelle anomale vesti di «esperimentatore» sembra rivelare una recente lettura dell’americana Topolino e la cassetta elettronica (1943/44), tradotta in Italia – sul Topolino in formato giornale – nel 1947. Tuttavia la menzione di Paperon de’ Paperoni, di cui è suggerito lo status di «uomo più ricco del mondo» (Pippo lo chiama in causa due volte, alla fine della seconda puntata e all’inizio della terza) sposterebbe plausibilmente la sua datazione fra il 1949 e il 1950, poiché è in Paperino e il feticcio e Paperino e l’isola misteriosa che Carl Barks lo descrive esplicitamente in questa posizione (queste due storie sono pubblicate sul Topolino tascabile, rispettivamente, a partire dall’ottobre 1949 e dal luglio 1950). Vorremmo instillare un altro dubbio: e se Rubino avesse concepito questa storia come un prodotto estraneo ai personaggi Disney, e l’avesse in seguito riadattata per contemplarli? Forse non ne caveremo mai una risposta. In quanto al valore, l’episodio intrattiene abbastanza, diverte senza conceder spazio a tempi morti (ma indulge alla retorica tradizionalista: il discorso di Minni nell’Aula Magna dell’Università di Filadelfia, secondo cui «la scienza è una bella cosa, ma la vita umana ha un valore maggiore», anche se oggi queste considerazioni potrebbero in parte scoprirsi à la page con l’aumento esponenziale – ai giorni nostri – del numero di satelliti applicativi), si apre talvolta a una moderata suspense, insinua il tema delle pericolose spore «vegetoanimali» clandestine come in Quatermass (1953), e sfoggia le caratteristiche «arcaiche» che molti appassionati disneyani trovano oggi poco digeribili: dialoghi da vaudeville e comicità ridondante (Topolino ne approfitta per pubblicizzare dallo schermo le sue pillole di «Deuteriox», che usa per ricaricare le batterie atomiche e che infine annuncerà di voler immettere sulla piazza come «ricostituente polmonare»). Perego, giunto da poco in redazione (vi resterà per 30 anni), esordisce ufficialmente: media ancora indeciso fra gli esempi grafici di Manuel Gonzales e Ken Hultgren (ma i robot sono quelli di Topolino e l’armata elettronica di Stan Walsh), incastonandosi in un realismo meticoloso delle scenografie, che nella prima puntata (vedi l’albero) genera un effetto un po’ straniante. Ma trova anche modo per riallacciarsi al tratto dello stesso Antonio Rubino (forma e aspetto del Satart), e sulle sue strade si affacciano casali che sembrano usciti dal bergamasco. In passato Topolino e il satellite artificiale è stata attribuita a Guido Martina (l’autore piemontese avrebbe forse contribuito all’adattamento del testo rubiniano?), ma ciò è avvenuto quasi sicuramente solo per colmare il vuoto che l’indicizzazione di questa storia riservava allo spazio adibito allo sceneggiatore. Bastano un paio di anni, a Topolino e Pippo, per sbarcare di nuovo per la prima volta sull’astro selenico, ma stavolta questo ha i suoi farseschi abitanti: Topolino e il re della Luna (1954). Riproposta al pubblico moderno su I Grandi Classici Disney dopo cinquant’anni, l’edizione sugli Albi della Rosa era aspramente condensata.

Fonti:

Link Inducks: I TL 41-AP

Antonio Rubino, Renato Giovannoli (cur.), Fiabe del tempo futuro. In stile Novecento, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, Viterbo 2012.

Armando Botto, Un Rubino nascosto (o forse due), in Paolo Castagno (cur.), Topolino Tremila. Di questi topi, paperi, cani, gatti, lupi, porcelli, scoiattoli, mucche, cavalli, gangaroni, orsi, kaibì, draghi, tori, grilli, elefanti, puma…, «La Biblioteca del Papersera» #8, giugno 2013, pp. 95-96.

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