Paperino e l’aurite acuta **** (1965)

Paperino e l’aurite acuta **** (Italia 1965, col., 31 p.) Rodolfo Cimino (S) e Romano Scarpa (D), Topolino #511 (12/9/1965). Deciso a tentare il tutto per tutto per ottenere un prestito da Zio Paperone, Paperino si catapulta all’interno del Deposito con l’aiuto di un razzo e due tavolette di legno usate a mo’ di ali, ma rimane involontariamente prigioniero nella stanza dell’oro mentre Paperone parte per un viaggio lungo parecchi giorni, così si trova costretto a divorare mezzo lingotto per non morir di fame. Finalmente libero grazie al ritorno dello zio, è fiaccato dalla particolarissima dieta forzata tanto da aver sviluppato una grave allergia nei confronti dell’oro (la cosiddetta «aurite acuta»): si cosparge di macchie alla vicinanza del nobile metallo. Paperone si offre di condurlo in vacanza nelle isole dei Mari del Sud per guarirlo, ma il suo scopo recondito è quello di sfruttare la sua malattia per individuare facilmente la presenza di filoni aurei. Infatti l’ultima tappa del viaggio è la gelida Alaska, certamente dannosa per la provata salute fisica di Paperino che – non avendo potuto evitare la prossimità dell’oro a causa dell’avido e incauto Paperone – finisce per trasformarsi fattualmente in una statua d’oro. Insieme a Paperino e l’interscambio cerebrale, è lo spartiacque tra un Cimino dai topoi narrativi più ordinari e quello che, con una naturalezza ignota agli altri autori Disney, sfocia nel metafisico e nel soprannaturale. In questa commedia rilucente ha luogo la famosa sequenza con la materializzazione – negli occhi di Paperone – della sua coscienza buona e di quella cattiva che battagliano su come debba essere considerato il trasmutato Paperino, se un essere umano o un più semplice oggetto di valore, ma a colpire di più è lo stesso delicato tema della modellazione compulsiva dell’oggetto del desiderio in base alle proprie ossessioni, tanto che la vittima che interessa di più a Cimino è Paperone. È un concetto toccato già da Carl Barks in Zio Paperone e la favolosa pietra filosofale (1955), ma in quel caso la spirale autodistruttiva coinvolgeva la carne dello stesso soggetto tormentato (era Paperone a rischiare di mutarsi in oro per reazione nucleare). Compresa è anche la prima apparizione dei simpatici orsi presso cui regolarmente Paperino si rifugerà, nell’ambito della produzione ciminiana, quando deve sfuggire alle ire dei nemici: sono «vero e proprio simbolo di una benevola natura allo stato selvatico, che di fatto adottano e coccolano l’aureo Paperino, lo proteggono […] e infine lo guariscono dal bizzarro morbo che lo affligge» [Alberto Becattini]. Rispetto agli episodi ciminiani successivi, i legami con la commedia all’italiana sono ancora evidenti, vedi gli indugi caratteristici, ma non è affatto un male dato che sono offerti spezzoni poi diventati famosi: nelle prime pagine Paperino, dopo la sofferenza patita per gli impedimenti disseminati da Paperone contro i postulanti, giunge a chiedere un prestito allo zio e torna il giorno dopo poiché una massima incorniciata recita «Oggi non si fanno prestiti. Domani sì», ma Paperone lo dissuaderà nuovamente: «Ehm… il cartello, come vedi, non è cambiato! Oggi, devi ammetterlo, è sempre oggi! Ritenta domani!». Graficamente, una novità è l’aggiunta, da parte di Scarpa, di una cupola che sormonta il Deposito di Paperone (seguendo in ciò una scelta del collega Giovan Battista Carpi). Le chine sono di un giovanissimo e guizzante Giorgio Cavazzano.

Link Inducks: I TL 511-A

Lascia un commento