Paperino e la mela stregata *** (1954)

Paperino e la mela stregata *** (Italia 1954, b/n e col., 31 p.) Guido Martina (S) e Giovan Battista Carpi (D), Albi d’Oro #48 [Paperino e la mela stregata] (28/11/1954). Invidiosa delle ricchezze di Paperon de’ Paperoni, la regina-strega di Biancaneve (che si esprime in una metrica invidiabile) appronta nel suo antro una mela magica la quale – se addentata – renderà esageratamente povero l’anziano papero. Purtroppo la mela è intercettata da Paperino, che si busca presto la «malattia della povertà» (vuole liberarsi di tutto il denaro che ha e non ne sopporta la vicinanza, cosa che non giunge a fagiolo dato che a metà storia vince inaspettatamente alla lotteria). Paperone, colto il piano della strega, le fa credere che il suo progetto sia andato a buon fine comunicando alla cittadinanza di star sbarazzandosi dei suoi 45 miliardi di dollari. Brillante parodia della favola di Biancaneve, con Paperone nella parte che dovrebbe andare alla giovane vergine e Paperino prima emissario inconsapevole poi pietosa vittima, arricchita da un’ininterrotta serie di versi che si stampano nella memoria («Conobbi una volta un signor Paperino/che non aveva neppure un quattrino./Se ben ricordo saltava il lunario/quantunque avesse uno zio miliardario» «Avviene, o regina, purtroppo sovente/che un giovane povero ha ricco un parente;/mio zio, per esempio, mangiava bistecche/e a me lasciava… le costole secche…» «Mi piacciono i bambini/li trovo molto buoni/cotti in padella e al forno/con aglio e peperoni»). Le scenette da antologia sono tante: l’orrida formula per la preparazione della mela, nella quale sono comicamente fuori luogo «due fettine di salame»; l’esattore delle tasse miope che attanaglia prima Paperino e poi Paperone; Paperino e Qui Quo Qua costretti ad assistere al pranzo di Zio Paperone senza poter parteciparvi; la cura per la malattia della povertà prescritta a Paperino dal farmacista, a suon di biglietti da un dollaro da ingoiare con acqua (ma Paperone li sostituisce con degli assegni). Ogni vignetta, quasi, fa insomma battuta a sé, con una riuscita parodia del linguaggio affettato, antiquato e lezioso: nella coeva Paperino cow boy quest’ultimo rendeva la storia solo inopportunamente artificiosa. Certificazione delle dovizie di un fumetto comico all’italiana oramai tramontato, cui l’adozione dei personaggi Disney infondeva nuovi spunti. Le brocche e gli alambicchi distrutti da Qua nel fuggire dal laboratorio della strega sprigionano fumi che assumono le forme di diavoli, il cui aspetto sarà poi reso famoso molti anni dopo da Giulio Chierchini nelle sue storie a tema diabolico (in questa storia di Martina e Carpi, Chierchini è adibito al ripasso a china insieme al concittadino e pittore Ernesto Piccardo).

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